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Il risciò: L'unica utilitaria davvero ecosostenibile: fa mediamente 100 km con un kg di pasta e ci vai praticamente ovunque. E la tua? in risciò da Monaco di Baviera a Genova
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Ventunesimo Giorno

Giovedi 13 settembre 2007

Come andò che a Tortona conobbi la vicenda di un locale artista maledetto, e mi capitò fra le mani un testo scritto più di duemila anni fa ma sempre attualissimo, e una volta arrivato ad Ovada mi rallegrai di alcune persone fuori dell'ordinario e di un vino locale non da meno.



L a mattina la luce dalle finestre sul tetto mi si è riversata addosso. Un'ennesima bellissima giornata, la penultima del mio viaggio. Quando è venuto Vittorio a prendermi siamo andati insieme al garage dove abbiamo parcheggiato ieri il risciò, ma prima siamo saliti su dai genitori a fare un po' di colazione.
La signora ha insistito perchè prendessi una robusta colazione, con le uova, il latte, i biscotti e la marmellata fatta in casa, e ancora delle mele del loro frutteto da portare con me per il viaggio, oltre che per pranzo un bel panino incartato. Dopodichè, prima di accomiatarci, abbiamo tirato fuori il risciò dal garage e abbiamo fatto un piccolo giro con i due genitori come passeggeri, mentre Vittorio ci scattava qualche foto-ricordo.

Il resto della mattinata l'ho passato a Tortona. Dapprima tutto il mio interesse si è rivolto a conoscere qualcosa di più su questa figura artistica, Pellizza da Volpedo, che rappresenta uno dei più interessanti personaggi della scena artistica italiana a cavallo fra il XIX e il XX secolo. Alla Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona ho avuto l'opportunità per me preziosissima di visitare l'esposizione tematica permanente di dipinti opera di Pellizza da Volpedo o di altri artisti italiani che operarono nella sua temperie culturale. E la cosa incredibile è che un tale viaggio ideale nel tempo, permesso dalla visita di questo piccolo ma intenso spazio espositivo, è ad ingresso completamente gratuito! Che dire, ho conosciuto qualcosa di più di questa terra, e di questa gente.
Il pittore rimasto famoso essenzialmente per il grande dipinto intitolato “Il quarto stato”, che tutti abbiamo visto almeno una volta di sfuggita sui libri di scuola, era in realtà uno che le ha provate tutte, prima di farsi influenzare dal divisionismo di Previati e di Segantini. E da quanto ho potuto vedere, e per quello che riguarda il mio gusto personale, c'è molto più spirito vitale nei suoi dipinti non divisionisti. C'è per esempio esposta una versione della sacra famiglia, dove S.Giuseppe è lui stesso, la Madonna è sua moglie e il Gesù bambino è suo figlio, poi c'è un ritratto della moglie molto intimista, diversi ritratti incredibili, di cui uno, raffigurante un giovane vissuto probabilmente a Volpedo più di cent'anni fa, sembrava il sosia sputato di Saverio, l'amico del “gatto nero” che ho conosciuto ieri sera. Un altro quadro piuttosto noto, intitolato “Mi ricordo quand'ero fanciulla”, rappresenta delle donne anziane che siedono al tavolo della mensa dei poveri al Pio albergo trivulzio. La vena socialista dell'ambiente artistico italiano non ha lasciato indifferente il Pellizza, che infatti era anche lui di famiglia contadina ed evidentemente coinvolto nelle burrasche sociali dei proletari del tempo. Nella raccolta ci sono anche per esempio di tema sociale un grande dipinto di Plinio Nomellini dei primi anni del '900 fatto tutto di grigi, che raffigura gli scaricatori di porto ed è ambientato a piazza Caricamento, la piazza di Genova prospiciente il Porto Antico dove arriverò dopodomani terminando il mio viaggio. Giuseppe Pellizza da Volpedo: se si pensa che proprio nel bel mezzo della sua carriera artistica, poco tempo dopo la morte della moglie si è tolto la vita... non aveva ancora quarant'anni.
Mentre visitavo la mostra il giovane militare di leva di Alessandria adibito a custode mi dava gentilmente un'occhiata fuori al risciò parcheggiato là davanti, anche perchè avevo visto prima di entrare che ci sono dei bambini di strada un po' troppo vivaci, che non si sa mai che non mi portino via le mie cose.
La tappa successiva a Tortona, proposta da un vecchio signore che si prodiga a farmi da cicerone, è la biblioteca civica: un grande palazzo dove ho voluto dare un'occhiata alla raccolta locale. Mi è stato dato da sfogliare un dizionario italiano-tortonese, e per un po' mi sono divertito a vedere se questo dialetto mi era in qualche modo comprensibile.
Certamente assai simile al lombardo, forse in virtù della tradizionale alleanza di Tortona nella lega lombarda contro Pavia e l'imperatore, e in seguito nella sua sudditanza al granducato di Milano.
Il mio cicerone mi indica poi dove sia la libreria Paolina, siccome avrei interesse di vedere che libri ci sono per l'infanzia. Le librerie paoline sono una specie di catena di librerie specializzate in testi legati alla religione cattolica, testi teologici, testi per i catechisti, bibbie, ed anche testi per bambini. Non ce ne sono ovunque. Per esempio in tutta la Liguria ce n'è solo una a La Spezia, mentre in Lombardia ce ne sarebbe stata una a Pavia, se l'avessi saputo prima. Ho curiosato e leggiucchiato un po' qua e là, soprattuto fra i libri illustrati per la prima infanzia, ma non ho preso niente. Avrei voluto una Bibbia per bambini, ma per un neonato di 4 mesi (mio nipote) sarebbe comunque un po' prematuro... Il mio Cicerone allora mi consiglia una libreria là vicino, dove non c'e´nulla del genere, ma là ho comprato uno di quei libriccini da 1 €, la “Lettera sulla felicità” di Epicuro. Un classico senza tempo.
L'ho letto tutto d'un fiato mentre pedalavo su un rettilineo fra Tortona e Novi Ligure. Tanta saggezza condensata in poche pagine! Ieri ho citato Socrate, ho considerato che desideriamo cose di cui non abbiamo bisogno. Anche questa frase non può essere sempre valida: se per esempio mi impongo di non bere o non fumare più, vivrò in uno stato di tormento e di tentazione. La moderazione è naturalmente la via più equilibrata, soprattutto fintantochè l'alcool e il fumo sono cose che appartengono alla nostra cultura. La felicità, dice Epicuro, non consiste nell'esaudimento dei desideri, ma certo neanche nella loro sistematica insoddisfazione. Piuttosto nella conoscenza dei propri veri desideri, che per lo più non corrispondono ad una merce, ma ad uno stato d'animo. E come dice Epicuro -e ripete una poesia- la vita è cara ma a buon mercato. La felicità si misura nell'armonia con le persone che ti circondano, in quello che si fa piuttosto che in quello che si ha.
Il mio cicerone Tortonese infine mi ha raccomandato di spedire una cartolina indirizzata a “Massimiliano – Tortona”. è una specie di tradizione, mandare una cartolina a questo ragazzo, Massimiliano appunto, che da un bel po' di tempo giace in coma profondo; i suoi parenti hanno pensato di invitare la gente a spedirgli cartoline da dovunque si trovino, perchè questo potrebbe alla lunga aiutare il risveglio. Finora non si è svegliato, ma intanto si sta accumulando una imponente collezione di cartoline. Speriamo che serva a qualcosa!
Uscendo da Tortona sulla statale 10 verso Alessandria, ho attraversato il Torrente Scrivia e incrociato l'autostrada A7, che normalmente prende qualunque automobilista che debba andare a Genova. Se non fossi stato molto prudente forse avrei seguito il corso dello Scrivia per raggiungere Genova, e forse avrei anche guadagnato del tempo. Ma la statale 35 che collega Tortona a Genova, che corre parallela all'autostrada e che raggiunge presso il passo dei Giovi un'altezza di 472 metri, mi è del tutto sconosciuta, mentre invece essendo nato e cresciuto nell'estremo Ponente Genovese ho una certa cognizione del percorso di montagna che separa Ovada da Voltri, alle due pendici opposte dell'Appennino Ligure. è una strada su cui ho viaggiato varie volte in auto, e spesso da ragazzino in bicicletta. Come mi hanno anche assicurato ieri a Tortona, da Ovada fino al Turchino è tutto a salire lungo il corso del torrente Stura, ma è un pendio dolce. Il pendio a mare invece è assai più impegnativo, poichè sale in pochi chilometri di oltre 500 metri sul livello del mare.
Poco dopo ho abbandonato la strada per Alessandria e ho svoltato a sud verso Novi Ligure, la città conosciuta per l'industria del cioccolato. Qui ho fatto una piccola pausa per il thè in un pittoresco caffè del centro, ed ho curiosato un po' nelle pagine di un giornale locale, che poi è lo stesso giornale di Genova, ma con una sezione locale riservata ai diversi territori dell'Alessandrino vicini a Genova: il Tortonese, il Gavese, l'Ovadese, il Novese.
Quando da Novi ho imboccato la strada provinciale scorrevole e piana che porta verso il fiume Orba, un affluente del Bormida, e quindi verso la città di Ovada, descrivendo un arco che ha come apice a nord la città di Basaluzzo, già ero tentato di fare visita a una qualche fabbrica di cioccolata di quelle indicate dalla segnaletica lungo la strada.
Non ho mai visto una fabbrica di cioccolata, e deve essere un'esperienza inebriante respirare tutto il tempo il profumo di chili e chili di cioccolata. Mi immagino tutti gli operai allegri e vispi come grilli, drogati dai fumi del cacao.
A pochi chilometri a ovest di Novi ho fatto una deviazione spontanea per entrare nel centro abitato di Basaluzzo, posto su un'altura. Qui ho visto un castello-fortezza antico, chiamato castello Clarafuentes. Ma non mi sono fermato, e mi sono buttato nel bel paesaggio che circonda la città, fatto di campi colorati interrotti da alberi, fino a ritornare sulla strada per Ovada.
Poi da qualche parte fra Capriata d'Orba e Silvano d'Orba non ho resistito e ho preso una deviazione seguendo le indicazioni che su per le colline a monte dell'Orba mi avrebbero portato fino ad una fabbrica di cioccolata. Sì, c'era uno spaccio aziendale, chiuso, ma questa fabbrica in realtà non era ancora in attività, e quella che sembrava l'unica anima viva là dentro mi ha detto che cominciano a produrre solo da novembre. Ma io ho insistito per ricevere almeno della cioccolata in modo informale– dopo tutta la strada per arrivare fin lassù!-, e dopo qualche minuto dalla finestra è uscito un uomo sorridente porgendomi della cioccolata in regalo. Che bello!
Mentre tornavo alla strada principale sgranocchiando l'agognata merenda mi hanno telefonato dal comune di Genova, sapendo che sarei arrivato a Genova dopodomani, cioè sabato, per chiedere che cosa avrei fatto di bello per quella sera.
Infatti a Genova stavano finendo di organizzare un evento grandioso, un panis et circensis senza panis -alla genovese- chiamato “notte bianca”. Di solito la notte bianca è a San Pietroburgo ed in altre città di quelle latitudini, dove in estate capita che per un giorno o due il sole non tramonta mai del tutto, e in quell'occasione si fa un po' di festa in città. Ora però a Genova è settembre inoltrato, le notti sono già ormai molto lunghe, altro che notti bianche! Ci sarà un consumo esagerato di energia elettrica, per tenere tutta la città accesa tutta la notte!
Comunque annuncio il mio arrivo in città per sabato, sempre sperando che non succedano proprio in questi ultimi due giorni gli inconvenienti che altrimenti non sono capitati in tutti questi venti giorni di viaggio: rottura dell'asse posteriore, tamponamento, rottura dell'asse dei pedali, problemi alle articolazioni, eccetera.
Ad Ovada arrivo nel tardo pomeriggio, e mi accorgo che il centro del paese è già sulle pendici dei monti. Mi hanno detto che nella periferia c'è un ostello della gioventù, che cercherò di raggiungere più tardi. Ora finchè c'è ancora luce diurna vorrei girare per le strade del paese e poi sedermi in un locale all'aperto a mangiare la cena. Il tempo continua ad essere fantastico ed estivo.

ovada, monumento ai caduti


Alla fine mi siedo nell’unico ristorante coi tavoli fuori, in piazza Garibaldi, “da Fiorenzo”. Al tavolo a fianco del mio, si siedono altri ospiti, un uomo di mezza età con la sua signora, e questo signore attacca subito a parlare con me del più e del meno, e per lo più di argomenti un po' strampalati, come la comune origine della “r” sibilante nel ceco e nel calabrese, o l'esatta traduzione tedesca per “agnello” che non corrisponderebbe però biunivocamente alla parola inglese che ne è pressochè l'omofono -”lamm” e “lamb”. Come si sia arrivati a parlare di pecore, capre ed agnelli è semplice: Il nome di questa città deriva dal nome latino delle pecore, “ovis” .
Egli avrebbe confermato con elementi storici documentati la mia supposizione che quella comunanza fonetica fra due popolazioni così distanti, i boemi e i calabresi, non sia così casuale, ma che in un certo periodo dell'età moderna siano stati mandati effettivamente dei soldati mercenari boemi in Suditalia, e che poi evidentemente qua e là questi soldati si sono accasati e, siccome godevano del rispetto o del timore della popolazione, alla fine qualcosa del loro accento è rimasto impregnato nell'accento locale. Noi intanto eravamo rimasti impregnati del buon vino che ci veniva servito.
Parlando parlando intanto scendeva la notte e con essa un certo freddo, che mi ha ricordato che ora sono di nuovo in zona di montagna, e Ovada rappresenta il capolinea del mio percorso piano. Da domani si va a salire verso il passo del Turchino. Fra una pausa e l'altra del dialogo con il mio dotto commensale ho mangiato di buona lena dapprima un antipasto misto con la bresaola, poi un piatto di trenette al pesto (piatto ormai tipicamente genovese, che mi vuole anche significare “ormai sei arrivato”) e ancora un secondo piatto di carne, conditi dal quartino di rosso. Il vino di Ovada non mi è del tutto nuovo, perchè da bambino a volte quand'era stagione andavo con mio papà da qualche parte intorno ad Ovada a riempire le damigiane di vino dai contadini. Ovada è anche con il suo dolcetto una delle capitali del Monferrato, zona vinicola rinomata.
Poi verso le 9 e mezza sono risalito sul risciò per cercare l'ostello, ma qualcuno di un gruppo di amici mi ha invitato a bere qualcosa con loro, e volentieri mi sono unito al gruppo. Poi l'uomo di loro che mi è sembrato più attento e responsabile, un tale Alessandro, è stato brevemente istruito per guidare il risciò, e ha egregiamente guidato me e un altro amico in giro per la città, divertendosi anche un mondo a strombazzare a tutte le persone che incontrava per strada. Poi si è andati in un altro locale con i tavoli piazzati in una specie di rudere medievale, a bere un bicchiere di bianco assieme a delle eleganti amiche di Alessandro, e solo assai più tardi finalmente lo stesso Alessandro non mi fa sforzare neanche di pedalare fino all'ostello, ma mi ci porta lui stesso pedalando...gentilissimo!
Per l'ostello si va a scendere verso un'area di impianti sportivi, in regione Carlovini. Ci siamo fermati a fianco di un campetto da calcio coperto, su un parcheggio ricoperto di pietrisco, e siamo quindi entrati per chiedere per il pernottamento. Lui stesso pur essendo di Ovada là non c'era mai stato, anche perchè è un albergo aperto da poco. Infatti nell'ostello “tre età” è tutto nuovo di zecca, con arredi moderni e colorati. Purtroppo anche i prezzi sono all'altezza della struttura, infatti per un letto in una stanza multipla devo spendere ben 30 €. La receptionist è una simpatica donna con uno strano accento che però mi suona familiare. No, non è solo l'accento, è anche la voce che mi è familiare, un tono fievole e, come dire, affaticato. è il timpbro vocale, come un pianoforte con la sordina. È quasi genovese. Alessandro si è fermato ancora un po' qui a bere un caffè con me, e anche lui mi ha garantito di essere in grado di costruire un risciò così. Lo terrò presente. La stanza è comunque vuota ed enorme, quindi in fondo ho una camera singola con bagno praticamente vergine per soli 30 €! è tempo di addormentarmi, e forse un momento per riflettere su questo viaggio e forse tirare le somme. Domanda spontanea: ma non sono stanco di pedalare, dopo 20 giorni per strada? La mia testa è stanca, perchè è piena zeppa di luoghi, informazioni e idee ancora da far sedimentare e riordinare, come il disco fisso di un PC pieno di dati prima che si faccia la defragmentazione. Ma il corpo non è mai stato meglio! Se non fosse che ho altre cose da fare oltre a viaggiare potrei una volta a Genova proseguire sullo stesso risciò fino alle Colonne d'Ercole!

Tortona-Ovada: 41 km


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